Orti urbani ed ecologia delle relazioni, la società che vorremmo

Favorire l’utilizzo di terreno pubblico incolto favorendo la riqualificazione dell’area

I progetti di orti urbani sono ormai una bellissima realtà, non solo in Italia ma in tutta Europa. Lo scopo è quello di favorire l’utilizzo di terreno pubblico lasciato incolto da parte della collettività favorendo la riqualificazione dell’area.

Questa settimana ho incontrato le fautrici del progetto (tutte donne, che bello!) un P-ORTO in città di Arezzo che mi hanno raccontato come è nata questa realtà di cui andare veramente fiere.

L’iniziativa avrebbe potuto essere una semplice divisione e assegnazione di varie porzioni di un terreno comunale. Invece  è poi diventata un unico grande orto/laboratorio in cui soggetti diversi lavorano insieme nel settore dell’agricoltura collettiva in maniera condivisa.
Associazioni, cittadini e scuole frequentano questo orto per incontrarsi e lavorare insieme a un progetto ecologico e sociale, valorizzando le competenze, le abilità, le capacità molto diverse di ciascuno di loro.

Alessandra Capizzi di Legambiente

“Legambiente in questo progetto ha il compito di

1.Coordinare i soggetti coinvolti.
2.Promuovere azioni educative con le scuole, insegnando ai ragazzi a coltivare affinché capiscano che le verdure… “non crescono al supermercato”. Avvicinarli ad una alimentazione più sana consumando i prodotti dell’orto seguendo la stagionalità dei prodotti.
3.Organizzare campagne di sensibilizzazione, corsi sull’agricoltura biologica e campi di volontariato estivi.

Per Legambiente questa iniziativa è importante sia dal punto di vista ecologico perché si tratta di agricoltura pulita ma anche per l’ecologia delle relazioni perché l’ecologia non riguarda solo l’ambiente ma l’interazione tra uomo e ambiente e tra uomo e uomo.

Il progetto ha dimostrato proprio questo: come è possibile ricreare un sistema ecologico attraverso il lavoro comunitario. La collaborazione con l’Associazione del Bangladesh e Oxfam Italia Intercultura che accolgono migranti richiedenti asilo da tutto il mondo ha dimostrato come di fronte a qualcosa di concreto si può convivere e sentirsi tutti uguali.“

Serena Marinelli de Il Velocipede

“La nostra è un’associazione con un’esperienza decennale nell’ambito della disabilità e soprattutto dell’integrazione e socialità delle persone diversamente abili.

L’agricoltura ha insegnato molto ai nostri ragazzi perché in quel contesto con quei tempi così dilatati le persone diversamente abili, che sono scarsamente produttive, si possono esprimere al massimo. Una piantina per crescere ha bisogno di tempo, questo consente ai ragazzi di non sentire l’enorme stress che provoca loro l’esigenza di ottenere subito un risultato, cosa assai improbabile per loro.

orti urbani
Sia il semenzaio che l’orto è stato progettato in modo da renderlo fruibile anche alle persone con la sedia a rotelle.
Le persone diversamente abili subiscono gli stereotipi e a volte ne sono portatori. Il fatto di collaborare con giovani migranti è stata una straordinaria scoperta così come il fatto di vederli lavorare insieme.

Produrre ed interagire negli orti in maniera assolutamente naturale e spontanea ha giocato a favore di una interazione che in un altro contesto sarebbe stata forzata. I migranti, dal canto loro, vogliono dimostrare di voler lavorare e di essere utili per la società.”

 

 

Annalisa Puleo de La Fabbrica del Sole

” Noi abbiamo contribuito al progetto offrendo la OFF GRID BOX, un sistema tecnologico sviluppato da noi per rendere l’orto il più possibile autosufficiente dal punto di vista energetico. Si tratta di un container in grado di rendere autosufficiente un contesto abitativo, in questo caso l’orto, attraverso:

1.Una serie di pannelli fotovoltaici che permettono di avere energia pulita e gratuita all’interno dell’orto
2.Un pannello termico che permette di avere sempre acqua calda
3.Una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana.”

Il progetto vive sul volontariato dei cittadini e delle associazioni coinvolte. Per far fronte alle spese vengono organizzate eventi di autofinanziamento come la cena del 12 luglio. In questa occasione i ragazzi africani, asiatici e italiani hanno lavorato nelle cucine tutto il giorno per realizzare una cena favolosa (anche molto vegana!).

Entrando nell’orto e nelle cucine si capiva subito lo spirito che aleggiava. Un bell’orto, grande, bello da vivere e da vedere, la simpatia e le risate dei cuochi contenti di lavorare insieme, così come dovrebbe essere la nostra società.

Simona Camiolo


 

Simona Camiolo
Classe 1967. Nata a Lodi,vive ad Arezzo,sposata e mamma di 3 figli.
Diplomata in Lingue e laureata in Relazioni Pubbliche e Discipline amministrative presso IULM di Milano. E’ vegana e viene in pace.

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